GIUSEPPE MARIA MAZZA

(Bologna, 1653- 1741)

 

Noli Me Tangere

 

Terracotta

23 ¼ x 23 ¼ x 5 ½ inches
(59 x 59 x 14 cm)

Provenance:   

Private Collection, France

 

This dramatic terracotta is, as the accompanying essay by Tomasso Montanari discusses, a work by the extraordinary sculptor of the late Bolognese Baroque, Giuseppe Maria Mazza.  Mazza, who first trained with his father, (himself a student of Algardi) had an early career as a painter, studying with Domenico Maria Canuti, Carlo Cignani, and Lorenzo Pasinelli.  His decisive return to sculpture led to a career that brought him commissions in major Bolognese and Venetian churches, as well as with significant private patrons, most notably Johann Adam Andreas, Prince of Liechtenstein.

 

In the present work Mazza’s bravura handling of his medium encompasses powerful modelling of the figures, expressive treatment of the drapery, and detailed illusionistic rendering of natural details. The square format of the work is exploited as a stage for the moving confrontation of the kneeling Magdalene with the elegant figure of the resurrected Christ.  The trees in the background mirror the actions, poses, and attitudes of the protaganists: the delicate, inclining, submissive trees behind the Magdalene and the massive trunk that looms behind and over Christ.  Behind them a garden fence, foliage, and a gate are rendered with the astonishing virtuosity for which the artist was justly celebrated.

 

ITALIAN TEXT | Tomaso Montanari

Una cornice perfettamente quadrata accoglie la scena del Noli me tangere, un tema particolarmente grato agli artisti perché esigeva la rappresentazione di una figura maschile ed una femminile – che l’iconografia canonica aiutava a risolvere in uno studio di nudo ed in uno di panneggio – inserite in un paesaggio ameno, spesso letteralmente in un giardino.

L’autore del nostro rilievo non si sottrae alla tradizionale sfida, ed impagina in una sontuosa cornice paesistica due figure quasi a tutto tondo: il Cristo risorto in piedi a sinistra, e a destra la Maddalena, caduta in ginocchio di fronte al Maestro resuscitato.

La conservazione del rilievo appare ottima, e solo il pollice della mano sinistra del Cristo e quello della mano destra della Maddalena sono perduti.

 

Se lo stile dell’opera indica immediatamente che esso appartiene alla nobile stagione della scultura barocca bolognese, il brio e la leggerezza con cui sono trattati alcuni particolari (si noti, ad esempio, la magnifica spalliera di rose rampicanti che chiude il campo visivo dietro i protagonisti) permettono di pensare ad un gusto già ‘barocchetto’. In altri termini, a quella fase di evoluzione che si apre con l’ultimo periodo della produzione di Giuseppe Maria Mazza e che vede attivi artisti di diversa qualità: da un Angelo Gabriello Piò, ad un Filippo Scandellari. Una congiuntura artistica, questa, che conosciamo soprattutto grazie agli studi di Eugenio Riccomini e Stefano Tumidei(cfr. soprattutto E. Riccomini, Ordine e vaghezza: scultura in Emilia nell’età barocca, Bologna 1972; Idem, Vaghezza e furore: la scultura del Settecento in Emilia, Bologna 1977; S. Tumidei, Terrecotte bolognesi di Sei e Settecento: collezionismo, produzione artistica, consumo devozionale, in Presepi e terrecotte nei Musei Civici di Bologna, a cura di R. Grandi, Bologna 1991, pp. 21-51). Il Noli me tangere presenta notevoli affinità con l’opera sicura di diversi tra questi scultori, ed è per esempio notevole la vicinanza della Maddalena allo stesso personaggio raffigurato in posa analoga dal Piò nel Compianto del Cristo in terracotta dorata nella Chiesa di Sant’Isaia a Bologna.

Ma la limpida scansione pittorica, di ascendenza pasinelliana, la prestante solidità del nudo del Cristo e l’organicità dei panneggi consigliano piuttosto di orientarsi direttamente verso il nome del caposcuola: una soluzione che sembra pienamente confortata dall’alta qualità del pezzo.

Contemperando queste diverse osservazioni, si potrà dunque proporre l’attribuzione a Giuseppe Mazza, suggerendo una datazione matura che vada ad attestarsi intorno al 1710 circa.

Sono numerosi i confronti che sorreggono questa proposta.

L’anatomia non slanciatissima del Cristo e i cadenzati panni che in parte la celano trovano un puntuale riscontro in quelli del noto Apollo (o forse più propriamente Bacco) della Galleria Davia Bargellini a Bologna, che presenta inoltre gli stessi piedi singolarmente allungati, e come schiacciati. La muscolatura, risentita ma insieme morbida, del Cristo si lascia ben confrontare, poi, con quella della figura di Endimione nel bel rilievo mitologico recentemente acquistato dallo stesso Museo.

Il profilo greco del Risorto ha inoltre uno stretto parallelo in quello del San Giuseppe nel rilievo in terracotta della Pinacoteca di Bologna.

Anche la patetica figura della Maddalena – con il suo gran corredo di panni ordinati in pieghe larghe, turgide e piane – gode di numerosi interlocutori nell’opera di Mazza: dalla parallela Maddalena del Compianto fittile del Museo Civico di Bologna, egualmente ripiegata e come affogata nelle vesti, alla figura della Bologna nel rilievo allegorico oggi presso la Cassa di Risparmio della città felsinea.

Il profilo estatico della nostra Maddalena trova pure numerose assonanze nelle figure femminili del Mazza, e qua si potrà citare l’analogo volto della tarda Allegoria femminile con cornucopia, ancora presso il Davia Bargellini (inv. 141).

Se non è facile trovare un calzante paragone al grande albero le cui fronde si protendono nello spazio dello spettatore alla sinistra di chi guarda (e che ha la funzione di far balzare il lucente corpo del Cristo fuori dall’ombra, pittoricamente), i più contenuti, ma bellissimi alberi che delimitano la scena sul lato opposto hanno invece echi precisi in quelli che Mazza utilizza sullo sfondo della Fuga in Egitto in Collezione Boschi a Bologna, o nei vari rilievi del Ciclo di Mosé nella Collezione Marsigli, sempre nel capoluogo emiliano.

Le dimensioni, il formato e la finitezza del rilievo non fanno pensare che si tratti di un bozzetto o di un modello, ma piuttosto di una delle tante terrecotte emiliane concepite come opere a sé, e nate fin dall’inizio per una fruizione privata. Viene dunque da immaginarsi il Noli me tangere

 all’interno di un piccolo ciclo fittile dedicato alla morte e resurrezione di Cristo nella cappella di un palazzo, senatorio o comunque gentilizio, bolognese. È quindi possibile che la bronzatura accompagni l’opera fin dall’inizio, e non sia il frutto di un intervento seriore.

Il tentativo di identificare con più precisione l’antica collocazione di quest’opera è per il momento destinato a scontrarsi con la vastità della produzione del Mazza. Già  nel 1739 Giampietro Zanotti era rassegnato ad esprimersi in questi termini: «Non verrebbe a capo giammai chi volesse tutte le opere del Mazza noverare, e quante statuette e quanti piccoli bassorilievi di creta facesse, che ornano celebri gallerie e dalle persone sono tenute in pregio le quali intendono alla preziosità del lavoro, più che a quella di qualunque pietra o metallo» (G. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina di Bologna, Bologna 1739, II, pp. 11-12).

Solo un felice ritrovamento documentario potrà dunque consentire di ricostruire la storia materiale del Noli me tangere. E, d’altra parte, i sondaggi effettuati per il Seicento lasciano già intravedere la significativa presenza di «alcuni rilievi» e di «sculture in terracotta» del Mazza (cfr. R. Morselli, Repertorio per lo studio del collezionismo bolognese del Seicento, Bologna 1997, p. 138, inventario di G. Leoni, 1691; p. 594, inventario di G. M. Ugolotti, 1697). Una presenza che è facile immaginare moltiplicata esponenzialmente negli inventari bolognesi del secolo successivo.

Di fronte all’eleganza, alla finitezza e al respiro monumentale di questa bellissima prova, non si può non concordare con lo Zanotti circa il fatto che con Giuseppe Mazza la terracotta tornava a dialogare alla pari con la grande scultura in marmo ed in bronzo.

 

Tomaso Montanari